Mosaici a soggetto dantesco

La collezione si compone di ventuno pannelli musivi di proprietà del Museo d’Arte della città di Ravenna, ed è attualmente esposta al museo TAMO della Fondazione RavennAntica.
Nel 1965, nell’ambito delle celebrazioni per il VII centenario della nascita di Dante Alighieri, e del I centenario del ritrovamento delle sue ossa, Ravenna ha voluto marcare il profondo nesso culturale e civile che lega la città al sommo Poeta, con un’iniziativa che s’inscrive nel solco del commento visivo alla Commedia, mettendo in relazione due forti simboli dell’identità ravennate: Dante e il mosaico.
Si è così scelto di dar corpo, tra le altre iniziative, a un’interpretazione figurativa dei versi del Poema, allestendo nelle ex scuderie del complesso di San Vitale una mostra di pannelli musivi ispirati alla Commedia, inaugurata il 27 maggio 1965.
Il Comitato Dantesco che coordinava le iniziative annoverava, oltre al Sindaco Bruno Benelli e ai rappresentanti della Pubblica Amministrazione, ben quattro titolari di cattedre universitarie, tra i massimi studiosi dell’opera del Poeta: Natalino Sapegno, Gianfranco Contini, Eugenio Garin e Giovanni Getto. Il Comitato decise di costituire una Commissione, al preciso scopo di organizzare una mostra di opere, non effimera, ma che lasciasse un’eredità ben visibile: ossia una collezione permanente di mosaici da cavalletto, realizzate dai Maestri mosaicisti ravennati, in collaborazione con pittori di fama nazionale.
La nuova Commissione (o «Comitato Organizzatore della Mostra») ebbe quale suo presidente ancora Bruno Benelli ma venne coordinata da Giuseppe Bovini, data la sua grande esperienza in simili iniziative. Nel 1959 Bovini aveva, infatti, contribuito a creare quella che è forse la collezione più importante di mosaici contemporanei, in forma di pannello mobile, la cosiddetta Mostra dei Mosaici Moderni. A Giuseppe Bovini vennero poi affiancati Stefano Bottari, Giovanni Guerrini, Direttore della Scuola Statale per il Mosaico, Giuseppe Salietti, Direttore del Gruppo Mosaicisti, Renato Barilli, Alberto Martini e Giovanni Fallani, presidente della Pontificia Commissione per l’arte sacra. Si incaricarono quindici fra i maggiori pittori italiani dell’ideazione di cartoni preparatori per mosaici; come per i Mosaici Moderni si trattava di artisti che seguivano differenti linguaggi figurativi: Domenico Purificato, Domenico Cantatore, Leila Lazzaro, Franco Gentilini, Aligi Sassu, Ferruccio Ferrazzi, Carlo Mattioli, Giovanni Brancaccio, Marcello Avenali, Giuseppe Migneco, Lino Bianchi Bariviera, Gisberto Ceracchini, Bruno Saetti, Orfeo Tamburi, Virgilio Guzzi. A ciascuno di questi si affidarono dei Canti cui ispirarsi, per favorire la rappresentazione di tutte e tre le cantiche del poema, senza ripetizione di temi. L’assegnazione tenne conto delle singole personalità artistiche, per evitare vincoli alla libertà interpretativa, considerato anche che tutti gli artisti invitati risultavano legati, almeno in parte, più alla tradizione figurativa che all’informale. Anche le dimensioni erano solo indicative: fino a un metro e mezzo per lato. Quasi tutti vennero eseguiti su carta da scenografia, alcuni su tela senza preparazione né telaio, oppure su faesite o compensato; le tecniche pittoriche si differenziarono anch’esse: tempera, colore ad olio, acrilico, pastelli, collage o tecniche miste. Tutti i cartoni, attualmente conservati presso il Museo d’Arte della città, vennero quindi tradotti in mosaico nella Bottega del Gruppo Mosaicisti, (e precisamente da Signorini, Cicognani, Salietti, Papa, Molducci, Pezzi, Spartà) ad eccezione di quello di Ceracchini, affidato a Lola e Alberto Melano.

A questi primi 15 cartoni, nel novembre 1964 si decise di aggiungerne altri cinque, opera di artisti attivi nel territorio ravennate, vincitori di un concorso indetto per l’occasione (Giulio Ruffini, Primo Costa, Anna Bertoni, Ines Morigi Berti, Pierluigi Borghi), che furono affidati a mosaicisti ravennati: Libera Musiani, Giuseppe Ventura, Rocchi e Morigi Berti, tutti ex appartenenti al Gruppo Mosaicisti, inoltre Carlo Signorini e Nedo del Bene. Infine il pittore Raoul Vistoli donò un proprio cartone per l’iniziativa, ispirato all’episodio di Paolo e Francesca, tradotto da Giuseppe Salietti.
L’allestimento dei pannelli musivi nelle scuderie dell’antico convento Benedettino fu affidato all’architetto Antonino Manzone.
La mostra ebbe un buon successo di pubblico: alla chiusura ben 30.000 erano stati i visitatori. Si pensò quindi ad una mostra itinerante, e il primo paese europeo che si candidò per ospitarla fu l’Olanda.
Con questa serie di opere ci troviamo di fronte a pannelli musivi che hanno la dignità di opere risolte in sé stesse, concepite come opere autonome, non destinate ad un luogo specifico e senza rimandi o allusioni a brani più estesi di decorazione architettonica. Pannelli massicci, allettati su malta e cemento portland, pronti sì ad essere applicati a parete, ma per i quali il rapporto con lo spazio architettonico non è decisivo, se non nell’ovvia misura d’una scelta estetica al pari d’un’opera pittorica.
La svolta, iniziata con i Mosaici Moderni, non è di poco conto e s’inquadra nel dibattito – per usare un concetto caro ad Argan – sul significato da dare al recupero delle «tecniche antiche nel mondo moderno».