Domus dei Tappeti di Pietra

La Domus dei Tappeti di Pietra è stata scoperta nel 1993: durante dei lavori di scavo in via D’Azeglio, a circa 3 metri sotto il livello stradale, viene rintracciata una stratigrafia insediativa imponente, con sovrapposizioni di edifici moderni sopra strutture risalenti all’età augustea.

La Domus si estendeva entro la cinta muraria tardo imperiale, all’interno di un quartiere con strade ad assi ortogonali, delimitato a nord dal corso del Flumisello e vicino alla confluenza con il fiume Padenna. Partendo dal livello più basso si sono individuate: una domus del 1. sec. d.C. con vestibolo e atrio; una domus, di età adrianea (II sec.) con vestibolo, grande atrio e ambienti pavimentati con mosaici bianco-neri; un impianto termale con pavimenti in sectile del III sec.; un edificio del IV sec. con pavimenti a mosaico; un palazzetto di epoca teodericiana e bizantina, con ambienti databili al VI sec., che insiste su una precedente strada pubblica, divenuta accesso monumentale all’edificio privato.
Il totale delle pavimentazioni rinvenute, in mosaico e in sectile, supera i 1200 metri quadri. Il sito musealizzato è stato aperto al pubblico nel 2002 ed è gestita dalla Fondazione RavennAntica.
Vi si accede dall’interno della settecentesca Chiesa di Santa Eufemia: è costituita da 14 ambienti pavimentati con mosaici policromi e marmi appartenenti ad edifici privati del II-VI secolo.
Significativi i mosaici pavimentali rinvenuti, decorati con elementi geometrici, floreali e figurativi. Risale alla metà del IV secolo l’emblema con il cosiddetto Buon Pastore, reso con uno schema non ancora codificato: raffigura un giovane, in posizione frontale, con le gambe incrociate e appoggiato ad un bastone. Indossa una tunica azzurra con ricami rossi e un matello triangolare, rosso-bruno; ai piedi alti gambali di stringhe incrociate. Con la mano destra accarezza una pecora che protende il capo mentre a sinistra un’altra pecora bruca. La scena presenta un paesaggio stilizzato: due alberi su cui poggiano due uccelli azzurri disposti simmetricamente. Da un ramo dell’albero a destra pende una siringa.
Di particolare bellezza e rarità il mosaico detto della Danza dei Geni delle Stagioni, del VI secolo, attribuito a Maestranze ravennati: entro una cornice a treccia a torsione, campeggia un emblema che mostra i Geni delle Stagioni che danzano in cerchio al suono di una siringa tenuta da un suonatore in secondo piano. Ogni Genio indossa un abbigliamento diverso: l’Autunno, in primo piano di profilo, indossa una tunica bianca ornata di ricami e reca sulla testa una corona da banchetto e ai piedi un paio di sandali; la Primavera, a sinistra, indossa una semplice tunica rosata, porta una corona di foglie rosa e rosse e calza sandali; la figura dell’Estate, a destra, è mutila nella parte superiore, si intravede una tunica chiara e parte della corona di spighe in testa; l’Inverno è completamente avvolto in un mantello con cappuccio verbe-azzurro, ed è incoronato di canne, ai piedi delle babbucce. Il suonatore indossa una tunica bianca ricamata, lo strumento sembra un organo a fiato. Si tratterebbe della danza che i romani svolgevano ogni anno in primavera e che aveva lo scopo di cacciare l’inverno, simboleggiato da un vecchio vestito di pelli, per permettere la rinascita dell’anno nuovo.